Mentre ci interessiamo alla risorgenza dei piccoli borghi marginali (se ne fa cenno persino nelle stesure finora note del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) avanzano proposte che puntano alla coesione territoriale sotto un altro aspetto. Tale, ad esempio, la convenzione “Monferrato Heritage Unesco per la realizzazione di un programma per l’accesso ai fondi comunitari, i fondi istituzionali pubblici e i fondi privati”. Due esempi pilota, già avviati, sono l’intesa nell’area Casale Valenza e il recentissimo Accordo Bacino del Tanaro – con capofila Alessandria – che comprende 18 comuni dell’Alessandrino e 14 comuni dell’Astigiano. Una terza convenzione, che ha come capofila il comune di Asti e a cui hanno aderito amministrazioni della nostra area: Moncucco, Buttigliera, Pino d’Asti, Castelnuovo don Bosco, Aramengo si proietta in direzione Ovest su tutto il ”Nord Astigiano” (fino a prevedere ben 53 adesioni) ma non oltre i confini della provincia.
Il programma di coesione territoriale posto a base della convenzione propone una assai vasta gamma di obiettivi strategici, e sarà elaborato, seguito e portato avanti alle varie istituzioni da un soggetto privato, scelto dalla assemblea dei comuni partecipanti. Il progetto sarà – per quanto è dato capire – la risultante integrata di bisogni e microprogetti espressi dalle singole amministrazioni aderenti, assemblati con un approccio che, in letteratura di policy making, si chiama “riempire lo scatolone”. É tuttavia evidente che un progetto organico di area va oltre una elencazione di esigenze, anche singolarmente sensate e governate dal principio di libera adesione e non ingerenza nelle proposte altrui. Occorre un progetto “di sistema”, che individui con chiarezza gli assi strategici di intervento, i territori di atterraggio e gli strumenti di attuazione.
Ora, per un’ area che unisce il Chierese, il Pianalto, la prima Val Cerrina e le colline del Castelnovese fino a Cocconato (la nostra “Marca di Collina”) il riferimento al Monferrato è largamente metaforico. La scala provinciale di rilievo amministrativo ha scarso profilo di omogeneità territoriale, e ciò rende opinabili dei Piani di sviluppo impostati su base provinciale. Lo conferma del resto l’eccentricità delle diverse zonizzazioni, che per le Camere di Commercio mettono insieme Asti ed Alessandria, per le aziende turistiche Asti ed Alba, per il citato ambito del Tanaro “pescano ” un po’ al di qua un po’ al di là del confine interprovinciale; come potrebbe benissimo accadere per zone “al di qua del confine” e fortemente intrecciate con la realtà socioeconomica del Chierese e del Torinese.
Occorre far chiarezza sugli assi di una programmazione locale che sia in grado di farsi valere in sedi superiori (anche prescindendo, senza peccare di ingenuità, da considerazioni strettamente politiche) ed evitino di aggiungere un piccolo vagone di richieste supplementari ad una locomotiva trainante poco sensibile alle reali caratteristiche costitutive del territorio.
Il primo degli assi del progetto di sistema è il consolidamento della agricoltura come attività economica principale, da sostenere con apporti di ricerca agro-ambientale orientati alla biodiversità e all’innovazione produttiva (perché non pensare ad una “Cantina sociale della Frutta”?), e integrati da presenze su mercati locali e sovra-locali, ristorazione, ricettività, attività di artigianato e servizi.
Una società di collina, che da non molto tempo sta riprendendosi dal ciclo della intensa emigrazione verso il Torinese industriale e vede una timida ripresa di popolazione (che taluni ritengono di futura crescita per effetto pandemia) richiede un deciso sostegno alla nuova residenzialità con servizi essenziali di qualità cittadina (scuole, poste, sanità); un fondamentale miglioramento delle relazioni con la dimensione urbana metropolitana, cui l’area è collegata, e il potenziamento delle reti di mobilità fisica e telematica, che consentono facile accesso in molte direzioni, regionali e oltre. Evitando invece di coltivare idee stravaganti, come la ciclabilità della linea ferroviaria Cocconato Asti, o di riprendere idee decotte, come la tangenziale Est: due proposte che insieme avrebbero l’effetto di rafforzare il cordone sanitario in queste zone rispetto all’accesso a Torino.
Assicurare migliori condizioni di contesto economico e residenziale renderebbe inoltre più credibile la proposta oggi prevalente del turismo del buon vivere (vino compreso) e della fruizione del patrimonio storico-culturale e naturale-ambientale. L’impegno professionale di informazione e orientamento per visitatori di ogni provenienza varrebbe qui a conferire all’espressione “turismo di prossimità” non già il significato alquanto banale di propinquità fisica entro spostamenti di corto raggio, ma quello ben più adeguato di conoscenza e relazione significativa con luoghi, beni, prodotti e persone.
Come fare tutto questo? La spinta all’auto-coordinamento dinamico degli attori locali è stata via via depotenziata negli anni, al vanificarsi delle timide aggregazioni intercomunali è succeduto un municipalismo frammentario, competitivo e autarchico, in caccia separata a finanziamenti e riconoscimenti. Piccoli esempi virtuosi in controtendenza sono la Rete Romanica di Collina, che dal 2018 cerca di coordinare chiese e comuni in un turismo culturale specializzato; una vivace alleanza di pratica sentieristica (Po-Monf); l’Associazionismo dei produttori e l’avvio della “Enoteca regionale”, che verrebbe a rafforzare la presenza di quella cooperazione agricola che ha finora salvato la viticoltura di collina. Ma per promuovere una seria non occasionale condivisione di obiettivi e progetti su base locale – nel deserto attuale delle aggregazioni politiche culturali e civili a cui la pandemia rischia di infliggere il colpo finale – servirebbe costituire un vero e proprio “Hub del territorio”: un luogo aperto di conoscenza e di relazione, dove le iniziative migliori di tutte le parti – economiche, sociali, civili, culturali, amministrative – avessero modo di generarsi e confrontarsi, per mettersi alla prova e prosperare.
Va detto che se il solo elenco degli assi di progetto ha già il sapore dell’utopia, figurarsi il disegno di nuove modalità di azione collettiva trasparente e condivisa. Eppure “Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno, fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande”.(Adriano Olivetti).